Carpe diem

sabato, novembre 21, 2015

Le origini della violenza

La risposta alla domanda su quale sia il terreno che nutre le radici della violenza ha trovato diverse e contrapposte risposte. L'economicismo di matrice marxista genera un suo riduzionismo, forte nel XX secolo anche fuori dal circolo degli aderenti alla completa e più vasta proposta teoretica di Marx, individua come ragioni della violenza interessi concreti costituiti da operazioni economiche, sbocchi sul mare, petrolio. Ancora oggi si è persuasi che a fare da padroni siano in grandi interessi finanziari del mercato globale, il dominio del commercio e che tutta la violenza nasca da fatti riconducibili a questi. Il punto qui è rendersi conto che solo se ci si scorda di un intero secolo, quello appena trascorso si può pensare che chiunque sia disposto ad anteporre la propria economia alla proprie passioni.
Il secondo terreno sul quale vogliamo immaginare fiorente l'albero della violenza è quello del riduzionismo culturalista: qui si sostiene che poco contano gli interessi politici. Gli scontri che abbiamo ora sotto gli occhi sono scontri tra culture (e questo ben si sposa con le questioni legate al fanatismo islamico) che si manifestano più radicalmente nelle zone di confine tra sistemi differenti che diventano luoghi di frizione tra mondi diversi. 
Chiunque voglia affrontare seriamente il problema deve abbandonare la facilità del riduzionismo e le facili ma illusorie scorciatoie che questo ci propone. È necessario includere nella nostra analisi quella pluralità di fattori che è l'unica capace di fornirci strumenti di comprensione e di azione.
Le relazioni internazionali sono fatte di un indistricabile intreccio di interessi, idee e passioni.
Il problema della violenza è legato a questi fattori e la difficoltà non è sviscerare il loro significato ma comprendere la loro interazione. Non siamo interessati alla grammatica della violenza ma alla sua sintassi. 
Conoscevamo perfettamente la violenza su larga scala fino all'11 Settembre 2001: esisteva una violenza tra stati, la guerra; ed esisteva una "violenza etnica" che ha colpito spesso nella storia. Il terrorismo globale è una nuova violenza nei confronti della quale siamo impreparati e privi di paradigmi interpretativi. Tuttavia essa non ha sostituito le forme di violenza esistenti, si è semplicemente aggiunta ad esse. Il paradigma di controllo della violenza precedente si basava su guerre tra stati, su un loro monopolio dell'uso della forza che poteva essere sfidato solo occasionalmente. Affrontare i conflitti etnici (che sono l'anello di congiunzione tra la violenza di vecchia e più nota matrice e quella a cui oggi assistiamo) si è rivelato estremamente complesso come dimostrano gli eventi che hanno accompagnato la dissoluzione della Jugoslavia e il genocidio in Ruanda. Il nuovo terrorismo che è entrato prepotentemente in scena con l'attentato di New York, minaccia la sicurezza degli stati ma non proviene da nessuno stato, è figlio di un mondo globalizzato. Opera come una rete, si finanzia con operazioni nascoste transnazionali ed è compiuto da soggetti che hanno abbandonato le proprie identità e le loro finalità nazionali per interessi globali. 
Sostenere che la guerra in Afghanistan sia stata una "guerra al terrorismo" è semplicemente un errore. Certo, ci si è scagliati contro i Talebani che davano protezione ad un folto manipolo di terroristi e al loro capo Bin Laden, ma dovrebbe essere ben evidente da ciò che è seguito da quelle operazioni che l'unico contrasto possibile al terrorismo è composto da un immane lavoro di intelligence, unito a campagne volte a limitare il più possibile la capacità di finanziamento e armamento illeciti e la riduzione del consenso popolare che si traduce in capacità di reclutamento per gli organi terroristi. 
Sono ormai molti anni che l'ONU cerca una definizione di terrorismo, in modo tale da generare dibattito e creare piani e convenzioni ma fino ad ora non si è giunti ad un punto fermo. Non conosciamo ciò che non siamo in grado di definire e perciò siamo incapaci di contrastarlo funzionalmente. 
A questo punto del discorso sarebbe il caso di sgomberare il campo da alcuni possibili equivoci, purtroppo largamente accettati:
"Il terrorismo non è questione di fini ma di mezzi" Qui si finirebbe per dichiarare guerra al terrorismo non in quanto mosso da volontà velleitarie ma si muoverebbe guerra al kalashnikov e ai bombardamenti in quanto tali, cosa auspicabile probabilmente ma inutile ai fini di questo preciso ragionamento. 
"Il terrorismo si valuta in base alla causa perseguita" Il punto piuttosto dovrebbe essere la natura del bersaglio. Le cause che conducono i terroristi a compiere i loro scellerati gesti potrebbero anche scoprirsi (per assurdo) giuste in un prossimo futuro ma mai verrebbero legittimati atti che non hanno colpito bersagli militari ma solo obbiettivi con forte connotazione politica-psicologica, volti a piegare l'opinione pubblica, a generare paura e a far prendere di conseguenza particolari decisioni politiche.
"La violenza insurrezionale, non statale, è terrorismo". Falsità gravissima, la guerriglia non è terrorismo. 
Eppure non è affatto difficile distinguerle: Attaccare un'unità militare è guerriglia, una bomba su un autobus o lanciare un jet contro un edificio civile è terrorismo. 
Sono atti diversi militarmente, politicamente e anche moralmente. Perchè non dovrebbero esserlo anche legalmente? Il freno a mano tirato che non ci consente di risolvere questi concetti scorretti è nelle mani di coloro che sostengono che "i morti sono morti" e nel contesto di scontri che coinvolgono intere popolazioni diventa impossibile distinguere tra atti di guerra, di guerriglia o di terrorismo. 
Differenze etniche, competizione economica su risorse scarse, conflitto religioso, influenze esterne: La miscela non potrebbe dare miglior esempio della causalità plurima della violenza. Ridurre la questione ad uno qualsiasi di questi fattori allontana dalla comprensione del problema e non offre soluzioni. Se non siamo tutti noi, se non è ciascuno di noi a comprendere questo è inaccettabile pretendere che qualcuno lo faccia al posto nostro. Rimarremo capitalisti contro i comunisti, cristiani contro gli islamici, bianchi contro i neri e ignoranti contro nessuno. Se al popolo di questo mondo va bene così avremo vinto la nostra battaglia contro i mulini a vento, solo che non avremo nemmeno un posto felice e sicuro sulla terra per poter festeggiare.