Carpe diem

martedì, gennaio 20, 2009

Dispiacere per gli oggetti

Ho pensato a questa cosa bevendo una bottiglietta d'acqua in un bar. Una bottiglia di vetro, ben fatta, con la superfice studiata attentamente per fare in modo che sembrasse coperta da tante piccole goccioline. In un altro tempo un oggetto del genere avrebbe avuto un buon padre: un artigiano o un vetraio che con chissà quali attenzioni si era curato di plasmarla. Avrebbe avuto un posto di diverso rilievo: magari non sarebbe stata in un museo, ma sarebbe stato apprezzato il lavoro, la forma, l'avrebbero riempita più e più volte, fino a che fosse stata l'ora del suo pensionamento. Un'ora decente però. Invece la bottiglietta ignara che stavo guardando io era in primo luogo nata orfana, senza attenzioni e senza cure, stampata da un macchinario, ma quel che è peggio è che dopo l'unico riempimento e l'unico svuotamento a cui era stata sottoposta... bom, finita la sua vita. Distrutta e poi (si spera nel riciclo) ricostruita da capo per essere usata di nuovo una sola volta. A parte la questione dei costi di produzione e di trasoprto che è pure annosa, nasce un serio problema di rapporto con il prodotto e non solo perchè si consuma più di quello che si dovrebbe/potrebbe ma perchè non si ha rispetto del cibo e delle bevande nè tantomeno di certe opere perfette e bellissime che contengono, conservano quello che mangiamo o beviamo. Non so se sono stato bravo con le parole tanto da aver reso quella senzazione di dispiacere che mi è balenata in mente quella sera, che mi ha fatto venire voglia di prendere quella povera bottiglietta, coprirla con un fazzoletto e portarmela via, per usarla, farla sentire apprezzata finchè non si fosse consumata e distrutta, tra anni magari. Farà ridere questa cosa, proposta così, ma francamente a me ha messo un po' di malinconia.

2 Comments:

  • Da parecchio pensavo di rispondere a questa riflessione, ma non l'ho mai fatto perché non mi convincevano da un lato alcune cose che hai scritto tu, dall'altro alcune che pensavo io; ho quindi evitato la fatica di mettere un po' in ordine le mie idee.

    Ora, però, ho ritrovato un brano che ricordavo per sommi capi ma non mi era venuto in mente a questo proposito, mentre rileggendolo ho proprio pensato: ecco, questa è una buona risposta al "dispiacere per gli oggetti"; pur che la questione non sia proprio la stessa.
    Si tratta di un capitolo di Gennariello, contenuto in Lettere luterane di Pier Paolo Pasolini, un ideale "trattatello pedagogico" che il poeta immagina di dedicare a uno "scugnizzo".


    Siamo due estranei: lo dicono le tazze da tè.

    Non mi stancherò mai di ripeterlo: io, nel parlarti, potrò forse avere la forza di dimenticare, o di voler dimenticare, ciò che mi è stato insegnato con le parole. Ma non potrò mai dimenticare ciò che mi è stato insegnato con le cose. Quindi, nell'ambito del linguaggio delle cose, è un vero abisso che ci divide: ossia uno dei più profondi salti di generazione che la storia ricordi. Ciò che le cose col loro linguaggio hanno insegnato a me è assolutamente diverso da ciò che le cose col loro linguaggio hanno insegnato a te. Non è cambiato, però, il linguaggio delle cose, caro Gennariello: quelle che sono cambiate sono le cose stesse. E sono cambiate in modo radicale.
    Tu mi dirai: le cose sempre cambiano. «'O munno cagna». È vero. Il mondo ha eterni, inesauribili cambiamenti. Ogni qualche millennio, però, succede la fine del mondo. E allora il cambiamento è, appunto, totale. Ed è una fine del mondo che è accaduta tra me, cinquantenne, e te, quindicenne. La mia figura figura di pedagogo è dunque messa irrimediabilmente in crisi. Non si può insegnare se nel tempo stesso non si apprende. Ora io non posso insegnare a te le «cose» che mi hanno educato, e tu non puoi insegnare a me le «cose» che ti stanno educando (cioè che stai vivendo). Non ce le possiamo insegnare a vicenda per la semplice ragione che la loro natura non si è limitata a cambiare alcune sue qualità, è cambiata radicalmente nella sua totalità.
    Osserviamo un fenomeno che sembra irrilevante. Sono tornati da qualche tempo di moda gli «oggetti» degli anni Trenta e Quaranta: e io sto girando un film ambientato precisamente nel '44. Sono quindi costretto ogni giorno - con quello sguardo impietoso e elencatorio che il cinema richiede - a osservare gli «oggetti» che filmo. In questi giorni sto girando una scena in cui delle signorine borghesi prendono il tè. Ho osservato dunque, tra gli altri oggetti, delle tazzine da tè.
    Il mio scenografo Dante Ferretti aveva fatto le cose in grande: aveva procurato per la scena un servizio molto prezioso. Erano tazzine color giallo uovo chiaro, con delle macchie a rilievo bianche. Legate all'universo delle Bauhaus e dei bunker, esse erano angosciose. Non potevo guardarle senza provare una fitta al cuore, seguita da un profondo malessere. Tuttavia quelle tazzine avevano in sé una misteriosa qualità, condivisa, del resto, dalla mobilia, dai tappeti, dai vestiti e dai cappellini delle signorine, dalle suppellettili, dalle stesse carte da parati: questa misteriosa qualità non dava però dolore, non causava un violento regresso (che poi la notte ho sognato) in epoche anteriori e atroci. Dava anzi gioia. La loro misteriosa qualità era quella dell'artigianato. Fino al Cinquanta, fino ai primi Sessanta è stato così. Le cose erano ancora fatte o confezionate da mani umane: pazienti mani antiche di falegnami, di sarti, di tappezieri, di maiolicari. Ed erano cose con una destinazione umana, cioè personale. Poi l'artigianato, o il suo spirito, è finito di colpo. Proprio mentre hai cominciato a vivere tu. Non c'è soluzione di continuità ormai, ai miei occhi, tra quelle tazzine e un vasetto.
    Il salto tra il mondo consumistico e il mondo paleoindustriale è ancora più profondo e totale che il salto tra il mondo paleoindustriale e il mondo preindustriale. Quest'ultimo, infatti, è stato superato definitivamente - abolito, distrutto - soltanto oggi. Fino a oggi è stato esso a fornire i modelli umani e i valori alla borghesia paleoindustriale: anche se essa li mistificava, li falsificava e li rendeva talvolta orrendi (com'è successo col fascismo e in genere con tutti i poteri clerico-fascisti). Mistificati, falsificati, resi orrendi al livello del potere, essi restavano reali al livello del mondo dominato dal potere: mondo che si era mantenuto in pratica, nell'enorme maggioranza, contadino e artigianale.
    Da quando tu sei nato, quei modelli umani e quei valori antichi non sono serviti più al potere: e perché? Perché è cambiato quantitativamente il modo di produzione delle cose.
    La verità che dobbiamo dirci è questa: la nuova produzione delle cose, cioè il cambiamento delle cose, dà a te un insegnamento originario e profondo che io non posso comprendere (anche perché non lo voglio). E ciò implica una estraneità tra noi due che non è solo quella che per secoli e millenni ha diviso i padri dai figli.

    24 aprile 1975

    By Blogger Giacomo, at 16:56  

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